Un grande bagno di democrazia. Non c’è dubbio che di questo si è trattato. Che siano tre milioni o più cambia poco: nel momento di maggiore distacco tra il Paese, la politica e i partiti, un popolo – quello del centrosinistra più qualche oriundo – ha riscoperto l’orgoglio di sé. Non è poco. Anzi, direi che basterebbe questo a giustificare la gioia di Bersani, essendo lui ad aver voluto la scommessa più di ogni altro.
Adesso ci attende un ballottaggio dove bisogna riportate le persone a votare, e sarà bene non sottovalutare l’impegno. Il Segretario parte avanti e ha i migliori argomenti per vincere. Detto ciò, l’evento che abbiamo vissuto è un fatto straordinario anche per altre ragioni. Tra queste c’è il consenso raccolto da Renzi. Il sindaco ha condotto una battaglia ambiziosa ed è vero che la gran parte dei gruppi dirigenti, locali e nazionali, sino ai gruppi parlamentari, non lo appoggiavano. Anche per questo continuare a dire che si è votato per scegliere il candidato premier e che ogni altra implicazione va rinviata al congresso del Pd, a questo punto, somiglia a un riflesso burocratico. Certo che il congresso discuterà, voterà, deciderà, ma piaccia o meno, esito e modi dell’ingresso sulla scena di Renzi ci mettono davanti a una prima rottura del patto su cui si è fondato il Pd, e sarebbe sbagliato sottovalutarlo.
Per quel che vale, considero l’impianto strategico (contenuti, linguaggio, format) del sindaco di Firenze un cedimento culturale all’antico. Le sue proposte hanno, per lo più, il profilo dell’innovazione che ha segnato il campo progressista degli anni ’90. Le sue ricette in materia economica e sociale, il tratto delle nostre vecchie convinzioni, con tutti i loro limiti. Ed è per questi motivi concretissimi che mi auguro domenica prossima arrivi secondo, se possibile con distacco. Ma questo giudizio non può rimuovere la funzione di calamita da lui esercitata su un elettorato mosso da un giudizio severo verso un’intera classe dirigente del centrosinistra. Bendarsi gli occhi, o addebitare eventuali ritardi ai soli ambiti territoriali – dal partito alle amministrazioni – mi parrebbe una fuga dal reale prima che uno scarico di pesi. Su come e perché si sia giunti a questo sarà bene discutere. Però una cosa, forse, si può anticipare ed è questa. Rinnovamento e cambiamento saranno anche concetti fratelli, ma campano in parallelo e non sempre l’uno ingloba l’altro.
Tradotto, la mia impressione è che noi abbiamo rinnovato molto (penso alla campagna sull’età anagrafica come certificato di svolta), ma cambiato meno, e per cambiamento intendo le coerenze e il ruolo del nuovo partito, a partire dal suo correntismo esasperato. A dirla tutta, Renzi ha un seguito nel corpo del centrosinistra per almeno due ordini di motivi. Uno legato all’impatto del ventennio alle nostre spalle. E qui non c’entra l’abilità comunicativa, ma la ‘confezione’ dell’offerta politica, dove sono confluiti codici e strumenti della mediaticità che la destra ha incubato per anni sotto egida e regia del suo ‘proprietario’. Una parte di quella cultura si è accasata tra noi. Per altro, passando dal portone principale – le primarie –, dunque neppure dissimulandosi, e salutata anzi come ventata di novità. L’altro motivo è nel ritardo a cogliere la profondità del bisogno di cambiamento che saliva dalla nostra parte. Abbiamo pensato che per corrispondere a quella spinta bastasse ‘rinnovare’. Non era così.
Quel cambiamento implicava d’investire sulla generazione entrante (il rinnovamento) ma, in parallelo, su idee, comportamenti, contenuti (il cambiamento). L’aver agito in prevalenza su una sola delle leve ha finito col dare spazio al modello aggressivo della rottamazione. Bersani ha il merito indiscutibile di avere compreso, prima e meglio di altri, che la politica e il Pd dovevano compiere un atto di coraggio se volevano ricostruire un rapporto di fiducia col loro popolo. Ripeto, è un vantaggio oggettivo che, credo, lo spingerà al successo prima di tutto per la qualità del consenso raccolto, a partire dal risultato positivo delle grandi città. Ma penso, anche, sia nel suo e nostro interesse ricomporre i due percorsi, del rinnovamento e del cambiamento. Ha forza e intelligenza per riuscirci.
Il punto è rivolgersi al centrosinistra tutto intero, compresi gli elettorati di Vendola e di Renzi, e farsi garante di una stagione nuova: nel governo del Paese, nella funzione del Pd come soggetto federatore, nella visione della società e dei conflitti durissimi aperti su scala europea e globale. In questo senso il superamento di quel tanto d’irricevibile incuneatosi tra noi si compirà solo sull’onda di una svolta netta in grado di ricollocare un riformismo radicale nella storia del Paese. Le urne di domenica ci parlano di questo. Della necessità di completare la costruzione del Pd, ripensandone la funzione nei tornanti della crisi e affiancando alla sfida per il governo quella per una nuova stagione della democrazia. Mai come adesso la differenza è qui. E mai come oggi dall’esito di questa partita dipendono i destini della politica e della sinistra.
Gianni Cuperlo è Deputato e Presidente del Centro studi del PD