La nostra agorà – Gianni Cuperlo

“State attenti: la nave è in mano ormai al cuoco di bordo e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta ma che cosa si mangerà domani”. Queste parole, scritte più di un secolo e mezzo fa da Soren Kierkegaard, mi pare dicano piuttosto bene il grande pericolo, non ancora scampato, corso dalla politica (non solo italiana) negli ultimi vent’anni. Alcuni, prendendo a prestito il vocabolario della finanza, parlano di shortermismo per significare l’accorciarsi temporale e spaziale delle scelte, l’incapacità di pensare in termini di medio-lungo periodo, la ristrettezza degli orizzonti, il prosciugarsi del pensiero che hanno caratterizzato la lunga stagione dell’egemonia economico-finanziaria.

Siamo chiari: “che cosa si mangerà domani” è tema non secondario e non trascurabile, tanto più nel pieno di una crisi senza precedenti, che ha già dissestato la vita di milioni di persone e, insieme, le forme della democrazia. Che è riuscita a scardinare sovranità, equilibri e ordinamenti di una realtà storica come l’Europa, e più in generale dell’Occidente.

Ed è precisamente perché cogliamo la profondità di questa crisi, ben oltre e al di là di come, ancora oggi, in tanti ce la raccontano, che decidiamo di partire da qui.

Dal fatto che, una volta smarrita la rotta, presto o tardi, non ci sarà più niente da mangiare (e non solo in senso metaforico).
Siamo di fronte a quella che un tempo avremmo chiamato una “transizione di egemonia”, una fase delicata (come sospesa tra il “non più” e il “non ancora”) in cui s’incastrano le spinte più pericolose: il riarmo dei nazionalismi, o populismi di diversa estrazione, ma che piegano sempre sul fianco destro. In qualche modo la stessa utopia di un’Europa integrata, non solo nella moneta, oggi sembra chiusa dentro questa morsa. Una situazione drammatica che chiede alla politica di gestire l’emergenza (dagli spread al debito, alle strategie anti-cicliche), ma anche di costruire un pensiero, in larga parte originale, che faccia da cornice a un nuovo modello per lo sviluppo di domani.

Messa così in alto, è chiaro che sarà impossibile saltare l’asticella da soli.

Ecco perché la cultura, i saperi – in particolare quelli diversi dall’economia – non possono sottrarsi alla responsabilità di assumere una parte importante della fatica nell’immaginare una via di uscita possibile.

Questa è la prova del nostro tempo. Questo il compito delle classi dirigenti, non solo nella politica. Ed è anche lo spirito che guida un partito come il nostro nel momento in cui si candida a condurre il paese fuori da quella che ormai, senza iperboli, possiamo ben chiamare decadenza. Direi che soprattutto per questa ragione abbiamo scelto un percorso non scontato: e a chi spingeva per un leader, un programma e un sistema di alleanze da decidere subito, abbiamo risposto che era giusto, invece, partire da una Carta d’intenti e da un’idea dell’Italia e della sua funzione in Europa. Il punto per noi è che quella Carta e quel progetto devono fondarsi su un corpo d’idee che non è interamente compreso dentro un solo partito, per grande che sia e che non è destinato ad accompagnare una sola stagione, seppure cruciale, come quella che si apre da qui alla prossima campagna elettorale. Sentiamo di dover incrociare una cittadinanza attiva, movimenti, competenze, senza le quali è letteralmente impossibile una ricostruzione dal basso. Questo mi pare il senso del progetto civico che abbiamo messo a base di un nuovo centrosinistra e di un’alleanza credibile con i moderati. Questo il senso del confronto cercato con le forze intellettuali – di cui l’incontro dello scorso 26 luglio è stato una tappa importante – alle quali non abbiamo chiesto di aderire a un disegno già scritto, ma di aiutarci a pensarlo nella consapevolezza che siamo davanti a una prova molto impegnativa. La risposta è stata per noi incoraggiante e, come credo dicano i testi qui pubblicati in anteprima, ricchissima di suggestioni e stimoli a proseguire in un cammino di lunga lena che, se non la rotta, sappia ritrovare almeno la voglia del mare.

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